Il lettore è un cliente?

Dati e riflessioni sulla fruizione d’informazione online

Questo post è stato pubblicato su engage venerdì 24 novembre 2017.

Nel 2014 Jim Blasingame ha pubblicato un libro dal titolo sintetico ed evocativo, The Age of the Customer, in cui descrive la fine (precisamente nel 1993) di un’era durata diversi millenni e caratterizzata dal controllo dei mercati da parte di chi offre beni e servizi. Nell’era del cliente, invece, il controllo passa dalla parte di chi acquista e lo spostamento di potere che ne consegue impone la revisione critica di tutti i modelli di business dell’era precedente.

Nulla di particolarmente nuovo. Qualche anno prima Forrester aveva già coniato il termine di “empowered customer” per raccontare il passaggio di poter dal versante dell’offerta a quello della domanda. Le declinazioni delle conseguenze sono diverse ma convergono su un punto: l’ossessione per l’esperienza del cliente. La ricerca di un’esperienza appagante deve guidare l’innovazione di prodotto. La soddisfazione del cliente è la metrica del successo di ogni business. Forse è banale ma è bene riaffermarlo, ricordando quanti siano i servizi che ancora oggi vengono acquistati e riacquistati da clienti mediamente insoddisfatti, costruiti su esperienze di servizio frustranti e inefficienti.

Ecco quindi la domanda: i fruitori di contenuti d’informazione di attualità sono clienti? E clienti di chi?

Potremmo dire che lo sono certamente coloro che acquistano un prodotto cartaceo o sottoscrivono un abbonamento alla digital edition, la replica digitale delle edizioni cartacee dei quotidiani. Tra gli individui online si stima che il primo segmento (lettori cartacei) interessi circa il 15% degli individui mentre il secondo segmento è composto da due individui online su 100.

La maggioranza dell’utenza Internet, anche se cerca e fruisce attivamente di contenuti di attualità, non si può considerare cliente delle testate d’informazione a cui si rivolge. Non c’è scambio economico e quindi non c’è una richiesta esplicita di valore del prodotto e livello di servizio da parte del cliente, perché non esiste il cliente. Questo è un grosso problema per l’industria dell’informazione online e, più in generale, per l’intero sistema dell’informazione.

Prediamo un altro caso, sempre riferito al digitale: l’eCommerce è la piena realizzazione dell’era del cliente. I merchant di successo offrono un’esperienza ottimizzata per i diversi dispositivi e canali (Web, App), riconoscono il cliente che ritorna, propongono prodotti in linea con le esigenze del singolo acquirente, offrono occasioni di ulteriori acquisti analizzando i dati disponibili, riducono i prezzi e aumentano il livello di servizio, innovano nel servizio di consegna, curano in modo maniacale la soddisfazione del cliente sapendo che questi è sempre a un click di distanza dal concorrente. Cercano di offrire una navigazione che contenga sempre un passaggio in meno, che sia un secondo più veloce, con pagine più snelle, che si possa riprendere in un momento successivo.

Tra i soggetti che progettano, costruiscono e offrono un prodotto al pubblico si trovano anche le testate d’informazione online di attualità. Tuttavia, gli editori non si comportano come altri soggetti del retail:

Merchant di beni e servizi Testate d’informazione online di attualità
Vendono ciò che offrono Regalano ciò che offrono
Guadagnano vendendo ai loro clienti Guadagnano vendendo i loro utenti
Ossessionati dalla soddisfazione dei loro clienti Ossessionati dalla soddisfazione dei loro clienti pubblicitari
La pubblicità favorisce il processo di ricerca e informazione dei clienti sui prodotti d’interesse La pubblicità non è funzionale, e talvolta ostacola, il processo di ricerca e informazione dei lettori
Attenzione al tasso di conversione visita/acquisto Attenzione al tasso di conversione visita/click
Rapporto win-win con i social Rapporto antagonista con i social

Il modello tradizionale, basato su metà ricavi generati dalle vendite dei prodotti editoriali (ricavi diffusionali) e metà sulla vendita dell’attenzione dei lettori (ricavi pubblicitari), è stato portato nell’online pensando che la prima metà fosse irrimediabilmente perduta. Così si è prodotta una situazione in cui un lettore online genera un ricavo pubblicitario pari al prezzo di un caffè al mese: davvero non era possibile un’alternativa? L’affidamento alla sola risorsa pubblicitaria ha prodotto un notevole affollamento pubblicitario e si è finito per generare quel mostro di user experience che è oggi la lettura di un quotidiano online, una corsa a ostacoli tra banner e video per riuscire a leggere un contenuto (cercato e desiderato e, quindi, con un valore).

Il problema si è avvitato su sé stesso e sembra non esserci alternativa: gli editori dicono che non è possibile vendere il prodotto online (a parte  Corriere e Repubblica che ci stanno provando e qualcuno che, forse, ci sta riuscendo) e i lettori interessati all’informazione si dichiarano generalmente insoddisfatti dell’esperienza di fruizione. Lo segnala l’AdBlock, una silenziosa protesta di massa nell’era del cliente: milioni di persone in Italia hanno notato che la user experience del Web è molto migliore dopo aver installato un Ad Block. Nessuna particolare ideologia, nessun astio verso le testate online, nessun movimento “a difesa del navigatore”: le persone trovano che sia una soluzione migliore, hanno il potere di farlo e lo fanno. Questa è l’era del cliente.

E, anche se l’AdBlock ha saturato il suo spazio e non dà più segnali di crescita, da parte degli editori c’è stata una debole reazione al segnale di fastidio mandato loro con forza dal 20% degli utenti.

Dallo scorso aprile 2016 Human Highway misura l’indice di fastidio della pubblicità online, un parametro che riassume la difficoltà di lettura dei contenuti dei siti Web causata dall’affollamento dei formati pubblicitari utilizzati. Ad ogni formato è associato un peso del fastidio, misurato sulla base delle dichiarazioni di un campione di utenti. L’indice di fastidio complessivo è prodotto dalla combinazione dei pesi di fastidio dei singoli formati presenti su ogni sito Web, ponderato per il traffico sviluppato dallo stesso sito (visite mensili da desktop e mobile).

Il fastidio è cresciuto per tutto il 2016 ma con l’inizio del 2017 si è assistito a una forte e progressiva riduzione, fino al minimo di luglio. Il numero medio di annunci bloccati, invece, mostra un trend leggermente crescente e la combinazione dei due dati lascia intendere che sia in atto un cambiamento di formati, dai più invasivi e fastidiosi a quelli più tollerati dagli utenti e integrati nei contenuti.

Un buon servizio e una buona user experience sono una condizione necessaria ma non bastano a trasformare gli utenti in clienti. La ricerca di una condizione sufficiente è ancora in corso ma, con 20 milioni di italiani che sono arrivati a spendere online 1.500 euro a testa nel 2017, trovare il modo di farsi pagare un caffé al mese per un’informazione e un servizio di qualità potrebbe essere per alcuni editori una sfida abbordabile.

Un commento

I commenti sono chiusi.